Quercia Angelo

Giuseppe Buonaparte Re di Napoli, per costituirsi una milizia a lui più fida, aprì gli arruolamenti volontari, e per l’inquadramento mandò suoi Ufficiali nelle principali città del Regno.
A Marcianise venne il giovanissimo Colonnello francese De Roisis, che seppe suscitare vive simpatie e grande entusiasmo nella nostra gioventù. Questi dimorò in casa di Aurelio Quercia, e primo tra gli altri, riuscì a conquistare l’animo del figlio Angelo, studente di scienze giuridiche, che senz’altro abbandonò le pandette ed i codici, per arruolarsi volontario.
A vent’anni era tra i Veliti, ed un anno dopo da Sergente cadde prigioniero dei briganti nei boschi della Calabria; doveva essere fucilato, ma la notte, mentre i briganti si difendevano da un attacco di alcuni militi, riuscì ad eluderne la vigilanza ed a liberarsi; il giorno dopo, si mise a capo di pochi compagni, e conoscendo il covo di quei malvagi, vi tornò e li distrusse. Per questo bel tratto di valore fu promosso Ufficiale per meriti speciali.
Nel 1814, col grado di I Tenente dello Stato Maggiore, seguì la Divisione capitanata dal Generale D’Ambrosio, spedita alla guerra di Russia.
La Divisione raggiunse il grosso dell’esercito Napoleonico in ritirata nella Polonia, e pigliò parte alla battaglia di Bautzen, ove 30.000 uomini (Francesi ed Italiani), bagnarono del loro sangue quel suolo.
In questa dolorosa vicenda bellica, Angelo Quercia seppe segnalarsi per un episodio di grande eroismo.
Latore di un dispaccio al Generale Macdonale, fu assalito da una pattuglia di cinque cosacchi, che gli intimarono la resa; egli però si rifiutò sdegnosamente e li affrontò preferendo cadere da eroe.
Fu gravemente ferito da un colpo di lancia al costato e fu precipitato in un burrone non molto profondo, ove fu abbandonato perchè ritenuto morto.
Poco dopo passarono di là in ritirata, alcuni militi napoletani, fra i quali Felice Foglia, Ufficiale pure di Marcianise; questi ascoltò i gemiti interrotti, ed alle invocazioni di aiuto, che il Quercia lanciava con voce fioca, percepì il patrio accento; subito discese nel burrone, e vide che ivi giaceva supino un Ufficiale ferito; si accostò premuroso per porgergli aiuto, e con grande sorpresa riconobbe nel ferito, il suo amico e compatriota; tra la grande emozione cercò rincuorarlo, poi chiamati gli altri, lo fece fasciare e portare con amorevoli cure fino all’ambulanza.
Visitando Napoleone l’Ospedale di Dresda, si fermò dinanzi alla divisa insanguinata di Angelo Quercia, che era ivi ricoverato, ne chiese il nome e la ragione della ferita; il Generale Nej che lo accompagnava, gli disse: messaggiero di ordini scritti, non volle darsi ad una pattuglia di cavalleria nemica, trasse fuori la spada, lottò uno contro cinque, e dovette soccombere.
Generale, ripigliò Napoleone, si dia la stella della Legion d’onore a questo prode. Dopo questo episodio gloriosissimo della sua vita, fu anche promosso Capitano.
Sessanta giorni dopo Angelo Quercia, dimesso dall’Ospedale, ritornò nelle fila dei combattenti a Lipsia, ove fu nel numero dei prigionieri fatti dal Colonnello Austriaco Schavarztberg, il quale ripose tanta stima in lui, che nel 1821, venendo a Napoli da Generale, mostrò vivo desiderio di vederlo e stringergli la mano.
Angelo Quercia tornò a Napoli nel 1814, e nel 20 Maggio 1815 fu tra i pochi che accompagnarono Murat al Capo Miseno. Gioacchino lo nominò Maggiore, ma questo grado non gli fu riconosciuto dal Re Burlone, che anzi lo mise in disponibilità; e quantunque nel Marzo 1821 fosse tra i pochi valorosi che combatterono a Chieti, pure nell’Ottobre successivo fu destituito dal grado e dagli onori.
Ormai la stella napoleonica era tramontata ed aveva inesorabilmente travolto seco anchee il nostro eroe, che dopo tanti atti di eroismo, e tante nobili gesta, ironia della sorte, dovette subire l’ama disillusione.
Ritornò a Marcianise, ove chiuse il suo dolore in un dignitoso riserbo.
Nel 1827 venne a Marcianise il Colonnello Conte Statella Enrico, per ordinare l’11° reggimento di linea composto di Siciliani, e si giovò molto della cultura e del senno militare del Capitano Quercia; in segno di gratitudine promise il suo valido appoggio per farlo reintegrare nel grado.
Infatti nel 1832 mercè i favori dello stesso Conte Statella, potette presentarsi al Re, che presenziava alle manovre militari presso Sessa Aurunca; perorò con calore la sua causa, ma più eloquente di lui fu la stella della Legion d’Onore, che quel giovane Sovrano gli mirava fissamente sul petto.
L’8 Aprile di quell’anno fu richiamato alle sue nobili fatiche, e si serbò intemerato anche verso il Borbone, così come gli imponevano la lealtà, l’onore ed il sacro dovere del giuramento.
Il 1° Gennaio 1837 Angelo Quercia riconquistava quel grado di Maggiore, che nell’ora tragica gli aveva conferito Gioacchino Murat, e che per lo sfortunato periodo successivo era diventato un mito.
Erudito, perspicace, amabile, tutto onestà e disciplina, severo con se stesso, era amato molto dai subalterni, stimato molto dai superiori, e dal Sovrano, che non mancò affidargli incarichi difficili e delicati, come quello di organizzare il 7° Battaglione dei Cacciatori nel 1840; di derimere una vertenza per gli zolfi tra l’Inghilterra ed il Regno di Napoli, e studiare le opportune opere di difesa per le marine di Napoli, di Salerno e Pizzo.
Nel 1842 partì con lo stesso 7º Battaglione, di cui era Comandante, per Taranto, ove fu colpito da apoplessia, e morì la notte del 25 Dicembre di quell’anno.
Lasciò due figli; Aurelio, primogenito, a 26 anni fu nominato prima Canonico della Insigne Collegiata di S. Maria C. V. poi della Metropolitana di Santo Stefano in Capua, tenuto in grande stima dal Cardinale Serra, morì giovanissimo; Federico, illustre letterato e patriota, di cui mi occuperò in un capitolo a parte.

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