Amoroso Francesco

Nacque a Marcianise il 10 Maggio 1746. Fece gli studi nel Seminario di Capua; era ancora Diacono, quando si presentò al concorso di Teologia Morale per la Parrocchia di Leporano; risultò il primo, ed in premio delle sue spiccate virtù intellettuali e morali, l’Arcivescovo di Capua lo consacrò senz’altro Sacerdote, né esitò ad affidargli la cura di anime in età così giovanile.

Fu nominato poi Parroco in Capua, ove seppe guadagnarsi la stima e le simpatie della cittadinanza per il suo squisito senso di amore e di carità verso il prossimo. Nel contempo fu nominato Prefetto agli studii, ed esaminatore delle lettere e delle scienze nel Seminario Campano.
Ma il profumo della sua grande anima e la freschezza del suo ingegno, non potevano e dovevano esaurirsi nell’angusto ambito di una modesta Parrocchia; a ben altri fastigi egli era predestinato, lo comprese senz’altro il Metropolitano di Capua, che lo propose per l’ambita carica di Vescovo.
La Santa Sede gli affidò l’illustre Archidiocesi di Lanciano, ove rimase dal 1792 all’8 Luglio 1807, giorno della sua morte.
A Lanciano l’Arcivescovo Amoroso lasciò ampia risonanza del suo nobile Ministero Episcopale.
Durante il suo tempo, gli Abruzzi furono teatro di lotte terribili, da parte di soldatesche Francesi, di demagoghi e sanfedisti, di odii e gelosie, di partiti e di caste.
Egli, prudente, affabilissimo, di tatto finissimo, ispirandosi costantemente alla Divina Grazia, con l’esempio e la grande operosità, seppe riportare i costumi, che minacciavano corrompersi, ad una severa austerità, e mantenendosi in un campo puramente ascetico, seppe ispirare fiducia e venerazione in tutti, riuscendo a placare, come un Angelo di pace, odii, rancori e sentimenti di vendetta. Tutti lo amarono come buon Pastore, e si sentirono orgogliosi di ricevere i suoi consigli e ammonimenti.
Ma le sue virtù ed il suo grande zelo, furono messi a dura prova, quando le fazioni ed i partiti si trovarono alle prese tra di loro, nei modi più risoluti e feroci.
La casa Episcopale fu aperta a tutti indistintamente, egli, pieno di gentilezza e di amore, ispirava tanta fiducia e serenità, che nessuno dubitava della sua lealtà, in quell’ora di sospetti e diffidenze, di stragi e di delitti.
Non sdegnò nessuno, abbracciò come fratello il dinastico ed il repubblicano, per infondere nel cuore di entrambi il sentimento sacro della fede di Cristo, ed in tale altalena, ebbe delicatissimo il senso di equilibrio. Nel 789, vennero a Lanciano i Francesi, sedicenti aportatori di libertà, fraternità ed uguaglianza; l’Arcivescovo Amoroso seppe riscuotere da essi, degna venerazione, tale da mitigarne il bellico furore, e salvò da sicura morte molti sacerdoti e borghesi, che erano ostili al repubblicanesimo. 1
Si allontanarono i Francesi, sopraggiunse la masnada Borbonica, rudi ceffi dai pistoloni alla cintura, presuntuosi, arroganti, avidi di rapina e di sangue, che in nome di Re Ferdinando confiscarono averi, ed affogarono violentemente nel sangue, tutti quelli che avevano proclamato la repubblica.
Si rizzarono patiboli ovunque, e le teste dei repubblicani, messe a bando, furono ricercate come belve feroci.
In tempi così tristi, Francesco Amoroso, con coscienza serena e tranquilla, consapevole del suo nobile Apostolato, con la fede nel cuore, e facendo affidamento nella sua amorevole e suadente parola, si recò ad implorar grazia da Pronio, perfido Comandante di quelle soldataglie, ma costui, degenere e triste come i suoi uomini, non poteva essere all’altezza di comprendere la magnanima missione, che compiva in quel momento, quel venerato Ministro di Dio, in nome dei più alti principi di umanità e di giustizia, e dinanzi a tanto uomo, dandosi l’aria spavalda, disse: Vattene Monsignore, altrimenti ti faccio percuotere.
A tal villano oltraggio, rimasero allibiti i presenti, ma l’Arcivescovo si ritrasse dignitosissimo, e non rispose, preferendo chiudere entro il suo nobile cuore, il gran dolore che lo tormentava, non per l’oltraggio ricevuto, perché era umile e modesto, ma per non essere riuscito a strappare a crudele e selvaggia morte tanti suoi fedeli.
Ma non desistette, la purità della sua coscienza non tollerava titubanze di fronte al dovere; non conosceva che una via, la diritta, e la seguiva senza esitanze, quali che fossero i rovi e le asperità del cammino e mettendo a serio pericolo la sua vita, raggiunse l’eroismo, insistendo nelle sue repliche, finché da Vantresch, zio di Promio, ottenne la liberazione di molti condannati.
E poiché era sicuro che si sarebbe fatta disonesta violenza alle virtuose ed avvenenti figlie del repubblicano Francesco Carabba, odiato a morte, le ricoverò nel claustro di S. Chiara, sfidando impavido le possibili vendette.
Ma in altra contingenza similmente dolorosa, l’Arcivescovo Amoroso dette prova tangibile del suo animo virile, quando cioè il Colonnello del Reggimeto di Cavalleria Napoli, Antonio Pineta, avendo urgente bisogno di stalle per ricoverare i suoi cavalli, si impossessò della Chiesa di S. Carlo, per adibirla a scuderia; gli fece pervenire una lettera con queste austere espressioni: La violenza è sempre riprovevole, anche quando si pretende accampare motivi di pubblica utilità.
Alla sua morte fu sepolto nella Cappella del SS. Sacramento nella Cattedale di Lanciano.
Alcuni anni or sono, dovendo restaurare quella Cattedrale, si dovette trasportare in altro posto il tumolo, che racchiudeva i suoi resti mortali, e con grande sorpresa le sue membra furono rinvenute incorrotte; a quella constatazione, la grande commozione del popolo di Lanciano, gridò al miracolo con un senso di profonda commozione.
Questa serafica figura, passa attraverso la storia della diocesi di Lanciano, come l’immagine ideale del santo uomo che, nel deserto morale dei suoi tempi, fu luce purissima, abbondante di affetto, di umanità, e di passione.
Era di quelli che hanno una voce dentro e l’ascoltano, e solo per ascoltare la voce della coscienza si curvano: ben traspariva da ogni suo atto, da ogni gesto, da ogni parola, l’austera dignità di quella esistenza, la rettitudine impeccabile di quell’anima.
La città nostra che vanta di avergli dato i natali, giustamente orgogliosa di lui, lo novera tra i suoi figli prediletti. (1) cfr.- O. BOCACHE, Cronaca, Manoscritto edito da Luigi Coppa Zuccari, vol. I de «L’ invasione francese negli Abruzzi», Aquila 1928.

A Francesco Amoroso
della Terra di Marcianise
diligentissimo Arcivescovo di Lanciano
che il 12 delle calende di giugno dell’anno bisestile (?) 1776
con il consenso di Agostino Gervasio
Arcivescovo dei Campani
compiacente
in questo tempio
consacrato al Santo Michele Arcangelo
compì secondo il rito dell’ordinazione (sacerdotale)
con il sacro Crisma molti unse
i Canonici Marcianisani
con animo grato

(questo) monumento

posero

 (lapide una volta esistente nella Chiesa di San Michele Arcangelo, cfr. Archivio della Collegiata di San Michele Arcangelo di Marcianise)

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