L’esperienza della Repubblica Partenopea fu molto breve, dal gennaio a giugno del 1799 : iniziata dopo la fuga di Ferdinando IV in Sicilia, rovino’, dopo appena cinque mesi dalla sua costituzione travolta dall’Esercito della Santa Fede, guidato, per conto dei Borboni, dal Cardinale F. Ruffo. Basto’ la scomparsa dei francesi, richiamati al Nord dall’arrivo degli austro-russi , perche’ tutto crollasse. Cio’ significa che la Repubblica, pur sostenuta dal fior fiore della borghesia e dell’aristocrazia illuminata, era intrinsecamente debolissima. E Vincenzo Cuoco nel suo “Saggio Storico sulla rivoluzione napoletana” con spregiudicatezza indico’ le ragioni di questo rapido crollo nel distacco tra i patrioti e le masse contadine e cittadine della stessa Napoli (i Lazzaroni). Tale distacco nasceva dall’ “astrattezza” delle idee e dall’estremismo dei Giacobini, che erano scollegati da un popolo completamente impreparato e colto di sorpresa e che avevano voluto imporre nel Mezzogiorno d’Italia leggi e programmi generati in un’altra terra e in un diverso contesto storico.
Per legare il popolo alla Rivoluzione si sarebbe dovuto partire dalle esigenze popolari, quali scaturivano dalla storia stessa del paese (evitando gli errori della tragica esperienza di Masaniello): solo cosi’ gli eroici intellettuali e l’ êlite illuminata avrebbero potuto liberare Napoli dall’oscurantismo del passato e rinnovare il paese.
Pero’, c’e’ da dire anche che l’esperienza fu molto breve e sfortunata perche’ i patrioti non ebbero il tempo materiale per disporre e attuare organiche riforme.
Inoltre l’avversione delle masse popolari alla Repubblica Partenopea avvenne in un secondo tempo, quando esse videro che il nuovo regima sostenuto dai Francesi non era migliore di quello di prima per le ruberie, le requisizioni, la carestia, la contribuzione e le nuove tasse, necessarie perche’ il re era fuggito col danaro dei Banchi e col tesoro della corona. Percio’ fu fatale che i contadini e i lazzaroni fossero convinti dalla propaganda del Clero che denunziava i Giacobini come pericolosi sovversivi nemici della fede e della povera gente. Quindi la lotta delle bande sanfediste fu una lotta di classe ad insegne capovolte, contro una borghesia e aristocrazia che avrebbe voluto liberare il popolo dall’oppressione.
Al resto ci penso’ poi Nelson che ne approfitto’ per depredare grandi ricchezze e per perseguitare i patrioti napoletani.
In tale contesto storico le uniche due figure che si distinguono dall’êlite borghese-aristocratica, perche’ avvertono l’esigenza di rivolgersi al popolo per educarlo, istruirlo e convincerlo, ognuno a modo suo, furono il Vescovo Michele Natale di Casapulla e il nostro Pietro De Felice, entrambi autori di un catechismo per l’educazione del popolo.
Pero’ il catechismo del De Felice e’ «Reale», quello del Natale e’ “Repubblicano”: quindi i due vescovi, entrambi figli della parte piu’ fertile di Terra di lavoro, sono perfettamente in antitesi, perche’ l’uno difende il potere costituito, quello borbonico, l’altro si fa paladino delle idee di liberta’, di democrazia e di progresso.
La differenza di concezione tra i due nel rapporto tra Religione e politica e’ abissale e forse a determinarla vi concorre anche il fattore anagrafico: De Felice che nasce a Marcianise il 13 luglio 1738 ha nel 1799 61 anni, mentre il Natale, nato il 23 agosto 1751 ne ha 48. Pero’ sicuramente a determinare le loro posizioni sono stati il temperamento, il carattere, l’apertura mentale e il retroterra culturale.
Il Natale coglie i segni del tempo con fervore intrepido, il De Felice si attesta su un conservatorismo di prudenza insegnando ad «obbedire ai preposti pur se discoli».
E se Natale fu afforcato, De Felice sopravvive di 3 lustri alla rivoluzione del 1799, durante i quali anni avra’ meditato sulla triste sorte toccata allo sfortunato Natale e agli altri Vescovi della Rivoluzione.
Pietro Angelo De Felice. Nasce a Marcianise il 13 luglio 1738 da Carlo Antonio e Laura Piccolella:a 37 anni e’ canonico della nostra collegiata, poi diventa teologo della Metropolitana di Capua, quindi primicerio e rettore del seminario.
Nel 1797 fu nominato Vescovo di Sessa Aurunca nella cui Cattedrale si trova ora la sua tomba con il seguente epitafio:«Petrus De Felice, pontifex suessanus, mortis memor, vivens sibi faciendum curavit anno millesimo octingesimo octavo».
Fece rifiorire il Seminario di Sessa, chiamandovi ad insegnare i piu’ valenti professori di Napoli; fu munifico benefattore di sventurati e bisognosi e nella tenuta episcopale di San Vito fece costruire una elegante chiesetta. Oggetto di pesanti calunnie, nel 1807, durante il regime di Giuseppe Buonaparte, fu mandato in esilio. Allora Sessa era occupata dalle truppe francesi del barone Radet, al quale le «malelingue» sessane che volevano sbarazzarsi del vescovo, riferirono di un libretto di poesie antifrancesi, scritte da un sacerdote sessano; e solo perche’ il libretto era dedicato al vescovo De Felice, per Radet questa era una prova sufficiente per accusarlo di essere antinapoleonico. Percio’ l’11 giugno fu arrestato e senza subire alcun processo gli furono chieste 1000 piastre di ammenda che egli si rifiuto’ di pagare. Percio’ gli fu tolto il vescovato e mandato in esilio ad Assisi. Ritornato a Sessa dopo alcuni mesi, perche’ le accuse si erano rivelate false e infondate ( il libretto non fu mai trovato), fu reintegrato nella carica e accolto con grandi onori, beneficiando perfino i suoi detrattori e accusatori.
Per merito suo fu portata l’acqua potabile a Sessa con decreto del re G. Murat del 1811. Di carattere schivo e modesto non volle mai un ritratto: mori’ a 76 anni il 25 novembre del 1814 tra il rimpianto dei Sessani.
Di lui ci resta il catechismo Reale, in cui, con domande e risposte egli istruisce il popolo sui doveri del cittadino nei confronti dello Stato e sull’osservanza delle leggi civili, inculcando il principio secondo cui un buon cristiano deve essere sempre e comunque un buon cittadino rispettoso delle leggi e dei governanti anche quando «questi sono un po’ discoli».
Pubblico’ anche “Appunti di storia della Chiesa Casertana” e “ Il Capitolo dell’antica Cattedrale di Caserta”.
Michele Arcangelo Natale. Nacque a Casapulla il 23 agosto 1751 da Alessandro Michele de Natale e da Grazia Monte. Dopo aver studiato a Capua ed essere stato ordinato sacerdote, fu parroco in diversi comuni della diocesi di Capua.
Ai primissimi anni 80 dovette risalire la sua affiliazione alla massoneria, perche’ nel 1782 gia’ frequentava come «apprendente» la loggia “ La Vittoria” di Napoli, in cui militavano molte personalita’ di spicco.
Qui a Napoli fu prima cappellano nel 1786 del principe Vincenzo Pignatelli e poi segretario di Mons. Agostino Gervasio ( confessore della regina Maria Carolina), che lo introdusse negli ambienti di corte.
Nel 1797 proprio da Ferdinando IV fu designato Vescovo di Vico Equense (sua sede episcopale per soli 23 mesi ) e consacrato dal Papa Pio VI. La sua attivita’ episcopale fu intensa e sempre ispirata alla cura pastorale della diocesi e alla educazione dei giovani.
L’adesione alla Repubblica Napoletana fu immediata, tanto che il giorno successivo alla sua proclamazione il 24 gennaio indisse «pubbliche grazie a Dio per aver salvato il Regno di Napoli dagli orrori dell’anarchia». Forse questa adesione fu la conseguenza sia della sua aspirazione ad una societa’ piu’ giusta, sia del tentativo di mediare tra il furore rivoluzionario e le esigenze di ordine, di stabilita’ e di democrazia.
Subito fu nominato presidente della Municipalita’ di Vico, trovando, pero’, tra i vicani una forte opposizione, tanto che la sua casa fu saccheggiata e lui costretto a riparare a Napoli, da dove il 30 aprile indirizzo’ una lettera manifesto ai suoi oppositori «Lettera del cittadino Michele Natale, Vescovo di Vico Equense e presidente di quella municipalita’ ai cittadini suoi diocesani», nella quale chiamava i destinatari «figli di una rivoluzione passiva» e rivendicava il merito dei rivoluzionari di aver varato provvedimenti per l’approvvigionamento alimentare, per il controllo dei prezzi e per la riduzione delle tasse. Alla fine, poi, invitava i vicani ad essere fedeli alla Repubblica «fondata per divina Provvidenza» e minacciando di scomunica quanti appoggiassero la causa realista.
L’ultimo atto del suo ministero Pastorale e del suo ruolo di Presidente di Municipalita’ fu la sconsacrazione, insieme con il Vescovo di Lettere e il vicario del Duomo di Napoli del sacerdote Giovanni di Napoli condannato a morte per aver istigato numerosi popolani a trucidare il 19 gennaio 1799 alcuni sostenitori della Repubblica Napoletana.
Dopo la resa di Castel Sant’Elmo alla fine di luglio si rifugio’ a Capua, braccato dalla gendarmeria borbonica. Qui aveva cercato di sfuggire alla cattura travestendosi da militare francese; ma riconosciuto e arrestato, insieme al vescovo di Capri Nicola Saverio Gamboni, fu condotto a Napoli per essere processato dalla Giunta di Stato. Condannato a morte il 17 agosto 1799, due giorni dopo veniva sconsacrato da tre vescovi. Il 20 agosto fu impiccato in piazza del Mercato con Eleonora Fonseca Pimentel.
A volere la sua morte furono soprattutto gli inglesi che Natale aveva bollato come “ Nemici nostri, del genere umano e della religione”.
La condanna a morte per impiccagione suscito’ sdegno della Santa Sede dello stesso Papa Pio VI, che non esito’ a colpire di scomunica i giudici responsabili della sentenza e i tre vescovi dissacratori.
Ancora oggi un silenzio assordante e scandaloso avvolge la figura del Vescovo Natale, una delle figure piu’ nobili del Risorgimento liberale- democratico meridionale e italiano e testimone raro di una Chiesa cattolica riconciliata con la modernita’ e con il messaggio evangelico.
La Chiesa che ha chiesto perdono per i tanti errori del passato, dall’Inquisizione, all’antisemitismo e a Galilei, ha sempre taciuto su questo Vescovo- martire, che pago’ con la vita in piazza del Mercato a Napoli la sua fede in Dio e nella democrazia.
La Chiesa, complice dei Borboni, aveva contribuito alla damnatio memoriae del Natale, tanto che il suo Catechismo Repubblicano era stato fatto sparire; e solo nel 1870 per caso Francesco Migliaccio ne trovo’ una copia dimenticata nella biblioteca del barone Nolli, altrimenti l’opera di rimozione dalla memoria sarebbe stata completa.
Percio’, va riconosciuto a Casapulla il merito di non aver dimenticato questo suo illustre concittadino al quale gia’ nel primo centenario della morte e’ stato dedicato un monumento: e’ un bassorilievo incastonato nel muro della casa natale del Vescovo, opera di Umberto Buccini, in marmo bianco, nel quale oltre al busto del Vescovo e’ raffigurata la forca, con il tronco rivestito di foglie di alloro; sullo sfondo vi e’ la figura della Repubblica che stringe il Vangelo, la spada, simbolo della giustizia, e una fascia su cui si legge il motto RELIGIONE, LIBERTA’ E UGUAGLIANZA. Sotto vi e’ la mitra con il pastorale vescovile e un berretto frigio circondati da rami di alloro e quercia, il suo Catechismo Repubblicano, le catene e una palma, simbolo del martirio. Sotto, poi, e’ incisa un’epigrafe di Giovanni Bovio:” A Michele Natale, vescovo di Vico Equense, dissacrato da tre vescovi e appeso alle forche nel 1799, reo di aver insegnato che Cristo Riparatore volle uguali i figli dell’uomo e una di qua e una di la’ dai vecchi termini l’umana gente. Irruppe deprecata sui tre vescovi dissacratori la vendetta della storia indicente all’aria e alla terra respingere in faccia ai carnefici il sangue giusto.
Casapulla maternamente al compiersi del secolo.
Il Catechismo Repubblicano di Mons. Natale e il Catechismo Reale di Mons. De Felice
Il Catechismo Repubblicano del Natale reca la data dell’11 fiorile(30 aprile 1799) (anno I della Repubblica Napoletana), la stessa della lettera pastorale ai suoi Diocesani. E’ un opuscoletto di sole 13 pagine, pubblicato a Napoli senza firma, il cui titolo completo e’ «Catechismo Repubblicano per l’istruzione del popolo e la rovina dei tiranni».
Per la verita’ una prima edizione di questo catechismo era apparsa tra Milano e Mantova gia’ nel 1796 con il titolo « Catechismo Repubblicano – anno 4 della Repubblica Francese, una e indivisibile ».
Una seconda edizione, senza indicazione di luogo usci’ nel 1797 con il titolo « L’istruzione del popolo e’ la rovina dei tiranni».
Ancora nel 1797 una terza edizione apparve a Venezia con il titolo « Italia, anno I della liberta’ italiana».
Quella napoletana, curata dal Natale fu la quarta edizione, ma cio’ non toglie il merito al vescovo di Vico di aver avuto il coraggio di sfidare un regime oscurantista, un re imbecille e dispotico e una regina sanguinaria.
Direttamente opposto a questo, subito dopo la caduta della Repubblica, Mons. Pietro De Felice componeva il suo «Catechismo Reale, ossia istruzione ove per via di dimande e risposte si propongono i diritti dei Re e gli obblighi dei sudditi» per uso della diocesi di Sessa: in Napoli 1799 con licenza dei superiori.
Tale catechismo era accompagnato da una lettera pastorale ai parroci della sua diocesi di Sessa.
In essa il Nostro dimostra uno straordinario affetto al suo re Ferdinando IV, di cui si dichiara debitore.
Di questo catechismo un esemplare raro e’ conservato al museo Capuano. E’ un opuscoletto di 32 pagine con una prefazione nella quale De Felice, riprendendo la lettera pastorale, sottolinea che e’ sua intenzione di «formare con esso catechismo reale, in ciascuno dei suoi diletti figlioli, un ottimo cristiano timorato di Dio, un suddito fedele al re e un membro degno della societa’ talmente che ognuno, giusto il proprio talento, possa divenir utile alla Religione, allo Stato, alla patria e a se medesimo» e a margine della pagina aggiunge «A bella posta si e’ intitolato Catechismo Reale, per antitesi al Catechismo Repubblicano, dato alle stampe in tempo della disfatta sedicente Repubblica» (quindi pubblicato dopo la caduta della Repubblica).
Il lavoro e’ diviso in due capitoli:
- I diritti dei Re
- Degli obblighi dei sudditi verso il sovrano.
La pubblicazione di questo catechismo dara’ ispirazione a mons. Nicola De Vecchi, vescovo di Teano, di pubblicare 4 anni dopo un poderoso catechismo di 370 pagine «Catechismo dei vari doveri dell’uomo, soprattutto del suddito e del cristiano» e un ulteriore «Catechismo della religione e della morale» in 470 pagine.
Il vescovo De Felice pubblica il Catechismo Reale tenendo conto « delle esigenze dei tempi e delle necessita’ del Regno». Quindi il testo va inquadrato in un contesto politico-sociale e religioso, dopo il ritorno di Ferdinando IV e la restaurazione monarchica.
Il vescovo nella premessa si augura che questo catechismo venga accolto con entusiasmo da tutti e soprattutto:
1. Dai ragazzi e ragazze che devono masticarlo, assaporarlo, ingoiarlo e digerirlo, per nutrire amore e rispetto verso la persona del re e per sostenere i diritti del sovrano anche a costo della propria vita.
2. Dal popolo, per condannare le prave intenzioni di quelli che hanno seminato nel Regno la zizzania, l’errore e l’irreligione e che devono essere considerati traditori del Padre – Re.
Noi dobbiamo guardare con rispetto al Catechismo Reale, che comunque rappresenta una scelta di campo e che ha una connotazione non solo politica, ma anche religiosa e sociale per la formazione del buon cittadino fedele alla Chiesa e allo Stato.
Il Catechismo Reale non puo’ essere ridotto a puro lealismo dinastico, ma e’ anche il frutto di una coscienza religiosa e del dovere di ubbidienza alla Chiesa, la quale col Papa Pio VI, richiamandosi a San Tommaso, affermava che la migliore forma di governo e’ la Monarchia, perche’ essa deriva la sua autorita’ da Dio.
Percio’, in un momento in cui si riteneva che la religione cattolica fosse minacciata dalla propaganda anticlericale giacobina, era logico che si levasse la voce del De Felice in difesa della Chiesa e del Re, suo difensore.
Del resto le masse popolari avevano risposto positivamente all’appello del Re dell’8 dicembre 1798, quando egli proclamava:« Sostenete la vostra religione, il vostro Padre e Re, difendete l’onore delle vostre mogli, delle vostre figlie, delle vostre sorelle, la vostra vita e la vostra roba».
E anche il comportamento dei francesi di Championet non aiuto’ certamente la causa rivoluzionaria, perche’ al di la’ dei proclami di rispetto della religione e dei cristiani, di fatto oltraggiavano i conventi e le Chiese, saccheggiando arredi e biblioteche. Lo stesso Championet il 27 aprile 1799 emano’ una disposizione in cui diceva che “ i Cardinali, gli Arcivescovi, i Vescovi, gli Abati e i Curati saranno ritenuti colpevoli delle ribellioni dei luoghi dove dimorano e puniti con la morte”.
Il Catechismo Reale dimostra quanto forte fosse il legame tra la Chiesa e la figura del Re, perche’ il binomio altare- trono mostrava quanto fosse necessario l’uno per la sopravvivenza dell’altro.
E quindi i motivi ispiratori del Catechismo Reale furono 3:
1. Motivi teologici: l’autorita’ del sovrano deriva da Dio mentre la sovranita’ popolare e’ solo una aberrazione protestante, giansenista e giacobina.
2. Motivi storici: la rivoluzione francese con i suoi eccessi ha dimostrato quanti danni produce la sovranita’ popolare.
3. Motivi sociali: la sovranita’ popolare genera solo disordini nella Chiesa e nella societa’ civile.
Come si vede il nostro De Felice dal confronto con Natale esce piuttosto malconcio con il suo Catechismo servile e oscurantista.
Ben altra tempra dimostra il Natale, che precorre i tempi, perche’ le sue idee illuministiche sono ispirate alla democrazia e alla liberta’.
Pero’ , in un periodo cosi’ fervido e cosi’ tumultuoso come quello che va dalla rivoluzione francese alla rivoluzione napoletana, occorre riconoscere anche al De Felice il coraggio delle proprie idee e il merito di essersi esposto per difenderle anche a rischio della propria vita. Perche’ quando ferve il dibattito, quando si accende la lotta politica, l’unica posizione che va condannata e’ quella degli ignavi che Dante colloca nell’antinferno.
E se il vescovo Natale e’ da considerare un martire della liberta’, il vescovo De Felice non fu un ignavo, ma un autentico testimone della fede.
(1) Francesco Piccolo (Marcianise 1948); Laureato nel 1972 in lettere classiche presso l’Università Federico II di Napoli; Abilitazione all’insegnamento per la Scuola Media e per Scuole Superiori. Insegnante di materie letterarie nelle scuole medie dal 1973 al 1985 . Vice Preside presso la Scuola media Bosco di Marcianise dal 1983 al 1983. Preside vincitore di concorso dal 1985. Attualmente a riposo dal 1 settembre 20013, dopo 28 anni di Dirigenza scolastica, di cui 23 conseguitivi presso l’I.C. “Aldo Moro” di Marcianise.Esperienze amministrative dal 1992 al 1994 è stato Assessore alla P.I. e Vicesindaco del Comune di Marcianise.
Bibliografia essenziale
cfr. Nicola De Paulis, Gli Uomini Illustri di Marcianise, 1937.
cfr. Vito Cicale, Giacomo Verrengia, Il Catechismo Reale di Mons. Pietro De Felice e la grande insorgneza del 1799.
cfr. Donato Musone, Storia Civile di Marcianise, 2010, pp. 37 – 41