Nacque a Marcianise il 28 febbraio 1881 e fin da giovanetto sentì fecondarsi nell’anima la vocazione per il sacerdozio; di tanto compreso, lo zio Mons. Tobia Patroni, Vescovo di Sulmona, lo accolse in quel seminario. Ivi passò gli anni in una tenace e severa preparazione spirituale ed intellettuale, durante i quali chiese il massimo rendimento alla sua intelligenza.
Nel cuore gli palpitava un doppio tormento: temprarsi con saldezza la mente ed il cuore alle fonti austere della dottrina e della fede, e rendersi sempre più degno del suo illustre zio, per un senso di gratitudine e di legittimo orgoglio.
A soli quattordici anni rese le prime vibrazioni dall’ampio ritmo cui attingeva l’anima sua di poeta e compose le prime rime, che come le prime luci radiose furono messaggere del successivo fastoso meriggio.
La città di Sulmona, che fu testimone del suo costante divenire, ne seguì la superba ascesa; ivi gli furono conferite le più alte cariche ecclesiastiche: Rettore del Seminario e Direttore dell’Istituto Manzoni, Vicario Generale della Diocesi ed Amministratore Apostolico, ed infine fu Professore nel Liceo Statale, in cui insegnò latino, greco e filosofia.
Il 30 agosto 1937 fu eletto Arcivescovo di Conza S. Angelo dei Lombardi e Bisaccia, e successivamente il primo luglio 1940 fu promosso Arcivescovo di Cosenza, ove morì il 5 luglio 1961.
Ivi la sua salma fu tumulata nella Cattedrale, oggi meta del pellegrinaggio devoto e deferente, per le sue alte virtù di mente e di cuore. Ivi le autorità locali hanno intestato al suo nome il moderno edificio che accoglie il Collegio Arcivescovile, a perenne ricordo dei suoi grandi meriti.
La sua opera può considerarsi sotto un triplice aspetto: il poeta, il filosofo, l’apostolo animatore della grande crociata di elevazione dei valori spirituali.
Tutte e tre queste eccelse qualità hanno però una sola finalità, starei per dire un solo tono: orientare l’umanità verso le verità dommatiche della religione cattolica come unico faro ed unica fonte di spiritualità.
Egli ha avuto una chiara visione della società moderna, nella quale si delinea la lotta dei beni materiali, che sono più tangibili e di più facile conquista, e dei valori spirituali che richedono una sensibilità più squisita della comune intellettualità.
Convinto che in quest’opera di degenerazione concorre oggi una superficiale letteratura paganeggiante, e che l’opera di redenzione deve incidere sopratutto nelle classi colte, per le quali le formule del catechismo sono cibo troppo scarso e mezzo non efficiente per contrastare il corrotto costume, si è inserito con la sua opera letteraria nel duro contrasto dei valori dello spirito e di quelli della materia, con l’ansia della sua fervente missione.
Il Calcara è un geniale poeta; nei suoi canti, l’armonia, la rima, il ritmo e le cesure non imbrigliano né diluiscono la densità della rappresentazione, che anzi acquista maggior vigore nell’armonia del verso; i concetti defluiscono con ammirevole vivacità, senza ombra di artificio.
Da uno sguardo sommario la sua produzione si sostanzia in volumi di poesie, tra i quali vanno annoverati I Canti di giovinezza, il poema saffico Eros, la pentalogia Le Ruine, il poema lirico I Protomartiri, la tragedia classica Annibale.
Il Calcara è il poeta della vita nell’ordine universale; di tutto ha cantato, le piccole cose che infrangono le caste gioie dello spirito giovanile, le grandi imprese belliche che scuoton l’ardore della vittoria, le nostalgiche descrizioni dei luoghi più amati e l’aspra continua lotta dell’uomo in sé e nei suoi scontri con l’eterno; la mistica opera del dominio della santità sul mondo imbarbarito; le incruente battaglie sui campi di Dio e le estatiche relazioni dell’amicizia e dell’amore.
Di tutto ha scritto una poesia, la poesia della sua vita, sicché l’antica e nuova vena permane candida e spontanea, freschissima pur sotto l’apparente gonfiezza verbale, contenuta in una calma stilistica piana, serena, diafana.
Come filosofo egli sostiene che l’uomo, prima del cristianesimo, è un groviglio misterioso di grandezze, di magie, di paure, di malattie morali, d’inganni, d’illusioni, di rovine, e solo il cristianesimo riabilita le sue facoltà col vaticinio del suo fine e con la redenzione; solo così questo essere, nonostante le morbosità terrene che lo tengono attanagliato al suolo, si aderge verso il cielo, verso la Grazia, verso Dio.
Egli così si esprime in una rivista: io credo che la letteratura nostra per compiere la sua opera di redenzione, per arrivare cioè sino al cuore del popolo, invece di andare dall’alto in basso, invece di prendere le mosse dagli splendori teologici per scendere sino ai travagli della vita terrena, debba oggi incominciare dalla considerazione dell’uomo alla Fede e contemplare in questa gli splendori di Dio. E aggiungo che in tale concezione la letteratura invece di esaurirsi in una contemplazione statica, debba svolgersi in un movimento dinamico che dia impulso vivace all’arte ed efficacia al suo verismo. Umanesimo dunque solo per il punto di partenza, che è poi cristiano per il suo punto di arrivo. Con questi concetti, il Calcara lavora secondo la nobile concezione che egli ha dell’arte e sviluppa la sua opera secondo un disegno organico ed ordinato.
In materia ha pubblicato i seguenti trattati: Filosofia scolastica, Filosofismo moderno, Il problema morale dei nostri tempi, Spiriti e forme tradizionali e nuove nella poesia, Dall’umanesimo classico paganeggiante all’umanesimo cristiano, Modernità e religione nella letteratura cattolica.
Infine, sempre sotto il profilo filosofico ha pubblicato numerose lettere pastorali, nelle quali non si limita solo a trattare temi di dommatica cattolica, ma con dottrina e grande efficacia tratta temi di indole morale e sociale, rilevando e demarcando il corrotto costume dei nostri tempi.
E’ testimonianza di tanto suo lavoro il volume Discorsi di leteratura e d’arte – Orientamenti di estetica cattolica, pubblicato per le Edizioni La Diana di Marcianise (in 16°, pagg. 296) nel 1961, nel quale sono raccolti quasi tutti i testi dei discorsi letterari e filosofici da Aniello Calcara detti in circostanze diverse.
Ma dove egli ha sacrificato le sue migliori energie, con instancabile fervore, è l’azione di redenzione e rigenerazione spirituale, iniziando il suo piano di azione dal ceto intellettuale, sicuro che il riflesso di essa avrebbe avuto risonanza sensibile nelle classi meno colte, le quali attingono quotidianamente gli insegnamenti dalle riviste, dai quotidiani e dalle cronache, talvolta spicciole, che hanno la facilità di essere apprese con minore sacrificio.
Per raggiungere tale obiettivo istituì con sacrificio finanziario anche proprio, il premio letterario Cosenza ed i vari congressi regionali, nazionali ed infine l’ultimo internazionale, che promosse quale Presidente dell’Unione Poeti e Scrittori Cattolici Italiani, svoltosi con larga rappresentanza nel teatro della Reggia di Napoli, dolorosamente dopo la sua morte, a cui parteciparono scrittori e letterati americani, inglesi, francesi ed italiani.
Col premio egli chiamò a raccolta i giovani poeti e scrittori, per sottrarli alla tentazione della malsana e paganeggiante letteratura, per creare un cenacolo di elevazione spirituale, in cui affiorassero i principi incorruttibili dei valori eterni, sulla base dell’etica cristiana; con l’Unione intese dare vasta risonanza a tali concezioni.
In questa grande opera però egli fu colpito come aquila nel suo volo potente e cadde a mezza strada. La sua morte pertanto può considerarsi come una grande sciagura nell’agone letterario, nel quale aveva già impresso l’orma incancellabile della sua potente opera ricostruttiva.